Quando si parla di talento e successo, l’immagine che mi viene più familiare è quella di un pianista adolescente che miete successi ovunque. Osservando la padronanza con cui si districa tra i tasti viene naturale dire che è un grande talento. Ma è veramente così?
Sono quasi certo che se uno di voi avesse la possibilità di parlargli, scoprirebbe che dietro quella immensa bravura ci sono ore, giorni, mesi e anni di sacrifici totali. Un lungo periodo nel quale il pianista ha affinato la sua tecnica, limato gli errori, sviluppato l’orecchio musicale. Insomma, dietro questo talento c’è un enorme lavoro.
In modo analogo spesso mi capita di sentire che solo il duro lavoro porta al successo e il talento non c’entra assolutamente nulla. Non è vero nemmeno questo, se per talento intendiamo una dote innata; negli sportivi potrebbe essere una particolare connotazione fisiologica. La velocità nelle gambe esplosiva di Muhammad Alì era quasi leggendaria.
E che dire della capacità mimica di un grande attore o di quella sistematica di un grande scienziato. A volte, insomma, possedere certe caratteristiche aiuta a sviluppare quello che definiamo talento. In tanti casi si tratta di sviluppare una propensione, che cresce in ciascuno di noi con il passare degli anni, per il condizionamento ambientale oppure per le opportunità offerte.
Ma qual è l’ingrediente principale che porta al successo?
Il successo viene spesso definito come una droga, perché è facile riferirlo al successo di massa, al divismo. In verità, la definizione di successo è molto soggettiva e c’è piena soddisfazione anche in una vita semplice, fatta di piccole cose.
Per parlare di noi, della massa di persone che non sono certo dei divi di Hollywood, il successo equivale probabilmente alla somma di più soddisfazioni riferibili alle aspettative personali, anche se non è facile mettere tutto insieme.
Spesso c’è questo senso di insoddisfazione profonda: contenti per la carriera professionale, ma non sul piano personale. Le relazioni vanno bene e la famiglia è fonte di gioie, ma il lavoro latita. Oppure hai messo insieme famiglia e lavoro, ma non stai facendo quello che veramente desideravi. È una situazione molto comune che spesso può generare frustrazione. Molto dipende dalle aspettative.
A un certo punto della tua vita comunque dovresti realizzare quello che fa per te e quello che non riuscirai mai a fare.
L’ingrediente principale per avere successo è – appunto – sviluppare un talento che sia spendibile sul mercato. E questo vale anche nel mercato metaforico delle relazioni personali: ad esempio, sei una persona corretta e affidabile e gli altri possono fare affidamento su di te. Oppure, dal punto di vista professionale, la tua particolare abilità di artigiano ti rende necessario per un certo tipo di lavori.
Certo, il successo non potrebbe essere misurato con l’accumulo di beni materiali.
Ha più a che fare con l’appagamento emotivo, che come detto può stare anche nelle piccole cose.
Tornando alla coltivazione del talento, questa passa attraverso schemi molto ripetitivi: dal momento che il duro esercizio e l’allenamento sono faticosi, tanto più all’interno di uno stile di vita squilibrato e caotico come quello contemporaneo, bisognerebbe sfruttare le capacità di adattamento e riscrittura del nostro cervello per creare “pattern” e abitudini nuove, positive. Il risultato finale dovrebbe essere quello di poter svolgere delle azioni positive, che portano al successo, giorno dopo giorno, in totale automatismo.
Purtroppo, questo è molto facile a parole. Sembra che il nostro cervello si diverta a portarci sulla cattiva strada. Ho già scritto di quanto fa male lo zucchero o quanto sia pericoloso mangiare troppo cibo spazzatura. Alimentarsi è una necessità fisiologica, che soddisfiamo secondo canoni ripetitivi (i tre pasti, come minimo). Questa ripetitività comporta la formazione di abitudini alimentari che, per la nostra storia evolutiva, ci portano a preferire alimenti particolarmente calorici, ricchi di zuccheri e grassi. È una tendenza che nel lungo termine porta allo sviluppo di malattie molto gravi legate a una non corretta alimentazione. Le ricerche lo confermano.
Per cui, se da un lato possiamo sfruttare gli automatismi del cervello per innestare comportamenti positivi, dall’altro dobbiamo difenderci dalle tentazioni delle abitudini negative, che spesso si formano in giovane età, quando non abbiamo piena consapevolezza dei rischi sulla salute (fumare a diciotto anni, quando si ha fiato e vigoria fisica, sembra assolutamente innocuo, così come esagerare con l’alcol).
Però il successo arriva così: come sommatoria di azioni positive e piccole rinunce, ripetute nel tempo, giorno dopo giorno.
Se voglio diventare un grande chitarrista non posso aspettare che un fulmine dal cielo mi colpisca e trasformi la mia mano in quella di Jimi Hendrix. Serve esercizio, e ne serve così tanto dal farmi esercitare anche quando non ne ho voglia.
E servono rinunce, non solo materiali, ma anche emotive, nel senso di “aspettative”.
Avere troppe aspettative, inconciliabili con le proprie opportunità, porta più frustrazione e delusione.
Invece, un auto-dialogo sincero con te stesso, dovrebbe portarti a lavorare di più su quello che sei, su che ruolo hai, piccolo che sia, importante per te e per quelli che ti stanno accanto. Così potrai gestire meglio le irritazioni, i momenti no, gli ostacoli che inevitabilmente ti si parano davanti.
Quindi, prima di biasimare la tua mancanza di talento, prova a chiederti se in realtà non stai chiedendo troppo. Il talento è transitorio, è una vocazione che potrebbe appartenere a una fase della tua vita e che non hai sviluppato abbastanza per vari motivi. Ma non per questo sei destinato a una vita di insuccessi.
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