La debolezza caratteriale non è per forza un tratto distintivo della personalità. Può manifestarsi a seguito di traumi o di vicende particolari, ma a volte può essere così interiorizzata, fatta propria, da diventare l'essenza stessa della propria personalità.
Le conseguenze di un carattere troppo arrendevole non tardano a manifestarsi perché interessano le decisioni personali e il modo in cui ci si rapporta con gli altri. Spesso, infatti, la debolezza è il risultato di uno scarto tra la propria personalità e le decisioni che subisci.
Ma quali sono i segnali di un carattere debole?
Quando si è troppo assorbiti da se stessi, spesso si sconfina dal territorio della giusta carica competitiva e dell'ambizione in quello della mania di controllo. Non succede solo nel lavoro, ma anche nell'ambito familiare e il rischio è quello di compromettere il rapporto. Chi abusa della sua posizione di forza in genere non raccoglie i risultati che si aspetta di ottenere. Rendere partecipi aiuta a crescere e nella vita familiare forse questo è tanto importante quanto nel mondo del lavoro.
La differenza tra leadership e comando viene spesso identificata in una linea di confine tra autorità e capacità di farsi seguire. I due aspetti vengono spesso vissuti in contraddizione tra di loro, ma in realtà l'incapacità di farsi seguire uscendo dallo schema del comando è sintomo di scarsa leadership.
Un aneddoto famoso su Giulio Cesare rileva tutta l'essenza della vera leadership, quella che coinvolge e unisce.
Quando alcune delle sue legioni, dopo un lungo guerreggiare, si rifiutarono di continuare la campagna della guerra civile, aspettò che la rabbia sbollisse. Ma anziché punire quei soldati che l'avevano seguito per tanti anni, fino ad idolatrarlo, Cesare si rivolse a loro chiamandoli "Quirites" cioè cittadini, che per un soldato di lunga leva corrispondeva a un insulto. Era un modo per congedarli e farli tornare alla banalità della vita quotidiana, fatta di lavoro nei campi, miseria e nessuna grandezza da realizzare.
Una sola parola servì a Cesare per riportare ordine nel suo esercito, fondamentale per i suoi obiettivi politici. Come mai? Perché in quel modo aveva squalificato un concetto essenziale della leadership: il potenziamento dei seguaci.
Aveva cioè spogliato i soldati della condivisione di obiettivi che fin a quel punto li aveva accompagnati. Essere soldati di Cesare era diverso da essere soldati di Roma. Era un di più e loro lo sapevano.
Cesare, infatti, era solito combattere in prima linea, mangiare con la truppa, scherzare e farsi prendere in giro.
Insomma, ciò che differenzia la leadership dal comando duro e puro è che la prima passa da una condivisione di obiettivi, la seconda invece fa leva sulla posizione di comando per imporre una decisione.
Gli obiettivi del leader, in pratica, corrispondono agli obiettivi di chi lo segue. O meglio, le aspirazioni del primo sono condivise in ogni passaggio dai suoi seguaci. Un altro classico piuttosto moderno sono le presentazioni dei prodotti tecnologici, basate sulla fedeltà al marchio. L'aspirazione di far parte dell'alone emanato dal marchio, da quel prodotto particolare, fa sì che lo si segua fedelmente per anni.
Una personalità debole si denota quindi anche quando cerca di imporre la gerarchia consolidata, non avendo altri mezzi per farsi seguire. Nei rapporti personali, il carattere passivo-aggressivo utilizza proprio una condizione di forza inasprita dalla rabbia mascherata per avere ragione.
Spesso la disperazione aggiunge un carico inevitabile e in generale c'è una percezione un po' sbagliata delle emozioni e di come le mostriamo.
Per esempio, un atto di arroganza potrebbe essere scambiato per un gesto di forza. La gentilezza e la timidezza per debolezza. Sono aspetti del tutto slegati, ma la "simulazione della forza" serve proprio a colmare una carenza decisionale.
Nella dialettica dei rapporti personali, i conflitti sono all'ordine del giorno. Fondamentalmente i rapporti nascondono dei conflitti a bassa intensità che non evolvono mai in guerre vere e proprie perché le persone, quando si conoscono bene, o nel momento della conoscenza, esplorano i confini fino a condividere le risorse.
I conflitti ci sono anche in una coppia stabile. I litigi comunque non possono trasformarsi in polemiche continue, tirate per le lunghe. Alla fine se non si risolve prima o poi prevale una parte. Può prevalere paradossalmente quella più interessata a fare la guerra, per semplice sfinimento, oppure perché è nel mantenimento del conflitto che vede l'essenza del rapporto.
La conseguenza è una dipendenza affettiva, rivelatrice della debolezza di carattere.
Un carattere debole tende a compiacere gli altri, a cercare troppe conferme, a non negarsi mai, a farsi condizionare nelle decisioni, anche quelle più banali.
Nei rapporti personali questo crea dipendenza, ma può anche essere un freno a creare nuovi vincoli. C'è la tendenza a considerare nullo il proprio volere, mentre si dà troppo peso al parere altrui e si rifugge il conflitto, in qualsiasi forma, proprio per essere certi di non deludere gli altri.
Nel mondo professionale il mostrarsi troppo zelanti può essere visto come un tentativo di farsi strada, attraverso il meccanismo dell'adulazione.
Al contempo non ci si assume alcun rischio e si rimane al chiuso della propria zona di comfort.
No è una parola impegnativa che bisogna utilizzare con parsimonia e attenzione. E bisogna imparare a pronunciarla quando serve, quando c'è un'utilità evidente che supera tutti i vantaggi insiti nel suo contrario, il SI.
Certo, se dici sempre NO probabilmente, da qualche parte, stai sprecando la tua vita, ma quando è necessario dirlo un NO deve valere come tale. Non ci devono essere sfumature e ripensamenti. Chi non dice mai no valuta eccessivamente le perdite a dispetto dei guadagni, in un mondo dove nessuno regala niente a nessuno.
L'atteggiamento estremamente prudente è considerato debole. E in effetti lo è: non prendersi rischi per paura di perdere qualcuno o qualcosa, a scapito di una soddisfazione personale, è sintomatico della debolezza di carattere.
Una opinione o un giudizio altrui sono considerati così tanto, da compromettere l'esito di una giornata.
Le persone deboli si lamentano spesso della loro condizione e con invidia giudicano il successo altrui come non del tutto meritato o frutto di una qualche strana combinazione. È vero che in Italia, il paese dei favoritismi, questo modo di pensare potrebbe essere non del tutto sbagliato, ma l'aspirazione di tanti è proprio quella di potersi fare strada in quel modo anziché impegnarsi a fondo per un vero cambiamento.
La rabbia è un sintomo di debolezza in quanto fa venire fuori una risposta istintiva, momentanea, spesso sproporzionata.
Questo porta ad essere melodrammatici, esagerati, vittimisti al punto da pensare di vivere la peggiore esistenza possibile, priva di felicità e momenti di gioia. Il narcisismo è una conseguenza patologica di questo modo di vedersi.
Le persone forti di carattere invece sanno veicolare la negatività e risolverla fino a cogliere un'opportunità di rilancio, che non coinvolge mai gli altri fino a rendersi insopportabili.
Questo aspetto a mio parere è molto importante, perché non è necessario confrontarsi con gli altri per farsi una promessa e provare a mantenerla.
Non avere una routine quotidiana, farsi travolgere dagli eventi. non impostare abitudini consolidate che ti portano ad aumentare i margini di miglioramento, prima o poi conduce a conseguenze immaginabili come l'incapacità di realizzarsi.
In un mondo astratto tutti vorremmo essere belli, perfetti, in forma, capaci di avere risorse infinite di energia per realizzare delle cose che ci vengono in mente, sognare una vita differente, ambire a migliorare i rapporti sociali, quelli personali, dare un senso più compiuto alla nostra vita... a parole è facile. Ma purtroppo tante persone non si accollano il sacrificio che la realizzazione di queste aspirazioni richiede. Tante volte l'idea stessa dello sforzo, della fatica, del dolore impedisce un qualsiasi sviluppo.
Ci sono persone incapaci di cogliere i frutti del loro lavoro perché lo trovano troppo faticoso e non riescono ad adeguarsi alle dinamiche con i colleghi.
Ripeto spesso che un percorso di cambiamento rileva la sua vera importanza quando ci si accorge di essere cambiati. Anzi, ancora meglio: di scoprire, rispetto al punto di partenza, delle nuove motivazioni che spingono ad andare avanti.
Se le motivazioni sono sempre le stesse, prima o poi arriverà un momento di stanca che ti farà sembrare accettabile un risultato intermedio a discapito del risultato finale.
La paura di prendere decisioni è comprensibile, ma dipende da un mix di fattori che ti porti appresso da tempo.
Puoi imparare a sconfiggerla seguendo il mio corso apposito, Supera le tue Paure.
AUTORE
Medico degli astronauti dal 2000 al 2007, autore Bestseller, ideatore del Metodo Ongaro® e ambasciatore Still I Rise
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