Empatia cognitiva ed empatia affettiva: cosa sono e differenze

Empatia cognitiva ed empatia affettiva: cosa sono e differenze

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Non è facile definire l’empatia, e non è facile stabilire se siamo o meno persone empatiche. Soprattutto, ci domandiamo spesso se l’empatia sia una qualità innata, sia la sommatoria di input culturali e sociali, se si possa “apprendere” come esercizio di crescita personale.

L’empatia è, sostanzialmente, la capacità di vestire i panni dell’altra persona: in questo modo, è possibile esperire e vivere le emozioni e i pensieri di chi abbiamo vicino, proprio come li ha percepiti quella stessa persona. 

Si tratta, perciò, di una competenza emotiva, che consente di sintonizzarsi sulla frequenza di chi ci sta di fronte. Ne parleremo a breve.

L’empatia comporta due differenti attivazioni: da un lato, un’attivazione di tipo emotivo/affettiva, cioè riuscire a sperimentare la tristezza, la felicità, il fastidio altrui. Dall’altro lato, l’attivazione di tipo cognitivo, che consente di comprendere le ragioni degli stati emotivi dell’altra persona. 

Vediamo di capire meglio quest’ultimo aspetto e scopriamo insieme se sia possibile allenare la propria empatia, e come farlo.

 

Il mio pensiero in breve

Non tutti abbiamo livelli analoghi di empatia ma ciascuna persona può migliorare rispetto al punto di partenza. Per fare questo in modo sensato occorre capire in quale tipologia di empatia siamo particolarmente carenti (affettiva, cognitiva, motivazionale). Al di là delle ragioni che hanno causato una scarsa empatia, grazie alla neuroplasticità possiamo spingere il cervello ad adattarsi e a sviluppare nuove capacità.

Definiamo l’empatia per capirla meglio

Poco fa abbiamo accennato a una definizione generale di “empatia”. Questa parola deriva dal greco “en-pathos”; letteralmente, significa proprio “sentire dentro”. Provare empatia verso le altre persone significa dunque "mettersi al loro posto" per comprenderli meglio. 

Empatizzare con le persone significa condividere il loro stato emotivo, comprendendo le emozioni che stanno vivendo e vivendole a propria volta, cercando di capirne le ragioni e le intenzioni. 

Pertanto, una persona empatica realizza una condivisione, che consente di provare un’emozione uguale o simile a quella dell’altro, e perciò di stabilire una connessione emotiva profonda.

Praticare l’empatia significa perciò abitare le emozioni, e ciò è un lavoro interiore fondamentale anche per migliorare l’autocontrollo emotivo e la gestione emozionale.

Come riconoscere una persona empatica? Come si fa a capire se si è persone empatiche? Come si dimostra empatia? Facciamo alcuni esempi semplici. 

Ti è mai capitato di parlare con una persona amica e capire che qualcosa non va dal tono o dall’inflessione della sua voce? Quante volte ti è successo di sintonizzarti in modo quasi istantaneo con lo stato d’animo e le emozioni di una persona che ami, senza necessità di molte parole? Ecco: in questi casi, stai vivendo l’esperienza di entrare in empatia con una persona.

Strettamente connessa all’empatia è l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di riconoscere, comprendere e guidare (o gestire) al meglio le emozioni proprie e altrui, sul lavoro, nella vita di coppia e non solo. In questo video ti spiego come alimentare la tua intelligenza emotiva:

 

Quanti e quali tipi di empatia esistono?

Martin Hoffman, docente di psicologia presso l’Università di New York, ha proposto un modello di empatia a tre componenti, nel suo libro Empatia e sviluppo morale: componente affettiva, cognitiva e motivazionale:

  • Componente affettiva: è la prima a svilupparsi e si osserva nei neonati. Si tratta di una reazione istintiva agli stati emotivi dell’altra persona, che avviene senza mediazione del pensiero. Se l’altra persona è triste, anch’io sono triste; se l’altro è felice, lo sono anch’io.
  • Componente cognitiva: riguarda il pensiero e si sviluppa successivamente, durante la crescita. Consiste nella capacità di riconoscere e dare un nome agli stati psico-emotivi vissuti da altre persone, ipotizzando i pensieri e i desideri dell’altro.
  • Componente motivazionale: riguarda il desiderio di aiuto che nasce dall’esperienza empatica. Infatti, poter fare qualcosa per l’altra persona fa provare uno stato di benessere e gratificazione, scongiurando il senso di colpa.

Empatia e neurobiologia

A partire dagli ‘80 e ’90, sono stati condotti alcuni studi che hanno messo in evidenza come l’empatia sia sostenuta dai neuroni specchio, una particolare classe di neuroni

Sono neuroni motori, che oggi sappiamo essere localizzati nella zona fronto-parietale dell’encefalo; si attivano sia durante l’esecuzione di un’azione o di un compito, sia alla vista della stessa azione o compito svolta/o o da un’altra persona. 

Il medesimo processo si riscontra anche con le emozioni. A livello neurobiologico, i neuroni specchio si attivano sia nella persona che prova un’emozione, sia in chi gli è accanto. 

Non solo osservare, ma persino immaginare l’altra persona in un determinato stato emotivo può attivare in chi osserva la stessa correlazione neurale, normalmente coinvolta nell’esperienza in prima persona delle emozioni stesse. 

Tutte le persone hanno la medesima capacità di essere empatiche? 

La componente neuronale alla base dell’empatia è presente in ogni persona. Tuttavia, lo sviluppo dell’empatia dipende da un processo di apprendimento che può avere luogo in modi differenti. 

Infatti, allo sviluppo dell’empatia contribuiscono alcuni fattori bio-psico-sociali, per esempio le relazioni che si instaurano nella prima infanzia, e poi sviluppate nel corso della vita. Le interazioni primarie assumono perciò un ruolo fondamentale.

Perché ci sono persone poco o per nulla empatiche?

La mancanza di empatia può dipendere da differenti fattori, vediamoli insieme:

  • Fattori geneticistudi scientifici suggeriscono che l'empatia abbia una componente genetica, e dunque alcune persone potrebbero essere geneticamente predisposte a mostrare minore empatia.
  • Scarsa consapevolezza emotiva: alcune persone potrebbero non essere consapevoli delle proprie emozioni o avere difficoltà a riconoscere e capire le emozioni delle altre persone. Tale mancanza di consapevolezza emotiva può ostacolare lo sviluppo dell'empatia.
  • Esperienze traumatiche: possono influire sulla capacità di una persona di sviluppare empatia. Esperienze molto negative o traumatiche possono causare atteggiamenti oppositivi o chiusure emotive, usati come meccanismi di difesa. In questo caso, è indispensabile un percorso di psicoterapia professionale, ancora meglio se in associazione a un percorso di lifestyle-coaching con professionisti del benessere psicofisico e del cambiamento personale.
  • Ambiente sociale e familiare: crescere in un ambiente familiare con poca empatia o nel quale esprimere le proprie emozioni sia poco incoraggiato o, peggio, deriso, può influenzare negativamente lo sviluppo dell'empatia e dell’emotività in generale. Infatti, se la persona, durante l’infanzia e la crescita, non è stata abituata a esprimere le proprie emozioni né esposta a modelli empatici, potrebbe avere non poche difficoltà a praticare l’empatia in età adulta.

Se è vero che non tutte le persone hanno lo stesso livello di empatia, è altrettanto vero, come vedremo a breve, che, attraverso l'educazione, alcuni corsi di crescita personale e la consapevolezza di sé, molte persone possono sviluppare o migliorare le proprie capacità di empatia

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L’empatia può essere appresa e allenata? Sì: prova queste 6 pratiche

Fortunatamente, tutto ciò che ci riguarda è migliorabile e allenabile. L’empatia è infatti definita una soft skill apprezzata anche nel mondo del lavoro per migliorare le capacità relazionali. 

1. Quando parli con le persone, sii davvero presente

Quando ti trovi a interloquire con un’altra persona, concentra la tua attenzione sulla comprensione delle sue emozioni e degli stati d’animo. Sii presente e pratica l’ascolto attivo, anziché concentrarti solo su come appari e su come rispondi: spesso ci dimentichiamo di essere persone senzienti e puntiamo solo alla nostra performance.

2. Se qualcuno ti espone un problema, non minimizzare


Chi parla con te e ti espone dubbi o insicurezze, ha bisogno di un confronto arricchente e di un sostegno emotivo reale. Non liquidare o minimizzare le emozioni dell’altra persona, anche se il tuo punto di vista è diverso. Confrontarsi e dialogare con intelligenza emotiva è sempre costruttivo, oltre che rispettoso verso chi hai di fronte: la persona si sentirà ascoltata, accolta e in uno spazio sicuro.


3. Impara a interiorizzare le emozioni e i sentimenti delle persone

Emozioni come dolore, tristezza, paura, vergogna, rimpianto, colpa, rabbia, ma anche felicità ed entusiasmo sono sentimenti universali, che tutti noi conosciamo. Proprio attraverso questi stati d’animo e queste emozioni siamo in grado di empatizzare con le altre persone.

4. Se puoi, cerca di non fornire consigli non richiesti

Si tratta del cosiddetto esprit de l’escalier: “fossi in te, direi/farei…”. Questo atteggiamento potrebbe essere interpretato come saccente da alcune persone. Invece, ascolta attivamente, dimostra partecipazione emotiva, cerca di conoscere bene chi ti sta parlando.

5. Amplia la tua rete sociale

Fai conversazione, interagisci con le persone, metti alla prova la tua prospettiva e i tuoi punti di vista: ciò è molto utile per avere una visione più ampia, maggiore curiosità nei confronti degli altri e delle nuove esperienze.

6. È importante superare i pregiudizi verso le altre persone

Decostruire non è certo facile, perché molti pregiudizi sono radicati in noi e sono un riflesso di molte convenzioni sociali. Tuttavia, tramite il confronto con persone diverse da te riuscirai ad abbattere molti stereotipi e a liberare la tua empatia.

Migliorare e allenare costantemente la tua empatia è fondamentale per capirti di più e capire gli altri. Se desideri rendere le tue relazioni interpersonali una continua fonte di arricchimento, crescita e gratificazione, ti suggerisco di dare un’occhiata alla nostra offerta formativa. 

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Filippo Ongaro

AUTORE

Filippo Ongaro

Medico degli astronauti dal 2000 al 2007, autore Bestseller, ideatore del Metodo Ongaro® e ambasciatore Still I Rise

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